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sabato 17 aprile 2010

Tre mesi

Sono stata veramente una lavativa con il blog e me ne dispiace. Mi sentivo così in colpa che non sono neanche più passata a commentare i miei amici di blog e me ne dispiace. Avevo anche pensato di chiuderlo, ma anche questo pensiero mi dispiaceva...(potrei forse rientrare nella cerchia degli italiani che usano solo 200 vocaboli in tutta la vita e ci sarebbe sicuramente dispiacere).
Ma adesso del mio blog sento la necessità. Adesso ne ho davvero bisogno.

Domenica 28 marzo è mancato mio papà. 74 quattro anni, vedovo, 3 figli, mio fratello e mia sorella maggiori ed io. Me ne ero andata di casa da sei mesi. Prima avevo vissuto 12 anni solo con mio papà. Non sono stati anni belli, andarsene è stato faticosissimo perché ero consapevole che cosa lasciavo. Non credevo che sarebbe però finito così in fretta. Ci sono momenti in cui ancora non ci credo. Cardiopatico, ictus, doppio bypass, fumo. Quante ne abbiamo passate. E adesso l'unica cosa che rimane è il vuoto. Un vuoto che difficilmente gli altri capiscono, anche quelli più direttamente vicini. Perché è legato alla perdita di un padre, alla perdita dell'ultimo genitore, alla perdita di colui con cui ho vissuto per tanto tempo.

Ed è un'esperienza così diversa dall'altra, quanto avevo 18 anni. Un'esperienza che desidero vivere in modo completamente diverso. Un'esperienza che voglio poter gestire con le mie scelte. So che la vita va avanti e so che non sarà mai più come prima. So che la fitta la si può provare in qualsiasi momento, per qualsiasi cosa e che qualsiasi ricordo può far male. Non ho più quel terrore forte sul domani.
So anche che non voglio più essere arrabbiata. Questo è l'obiettivo primario. Non voglio prendermela perché la mia vita è da quasi sempre così diversa da quella dei miei coetanei, dei miei amici. Non voglio offendermi perché un'amica non c'è nel momento del bisogno, anche se fa male. Non voglio arrabbiarmi perché il capo fa le pulci perché sono stata via troppo giorni per il funerale o perché fa commenti inopportuni. Giuro, è una faticaccia.
So, però, che l'unico modo per superare (in qualsiasi modo lo si riesca o possa fare) tutto questo è accettandolo.
Non ci sono scappatoie o sogni gloriosi. Non si può andare indietro e imporre la propria volontà anche se avrebbe potuto cambiare qualcosa. Si può solo accettare che questa sia la realtà. Che questa sia la mia realtà. E che sono io che ci devo convivere.
Ed è mio compito, mio obbligo farlo al meglio. Per me.
Perché se una lezione l'ho imparata da mio padre (seppur in negativo) è proprio quella che lasciarsi andare è una stronzata. Che i motivi per vivere e vivere bene sono tanti, ma sono soprattutto in noi.
Sono io.

Sarà molto Biancanevesco, ma una delle cose più dure è non poter più chiamare papà.